Commedia dell’Arte: Stenterello
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Comedy of Art: Stenterello
Stenterello (Scrubby), like many other characters of Italian Comedy of Art, is born in ‘700, invented by the florentine actor Luigi Del Buono (1751-1832), Stenterello is slight, as the same Del Buono was. His nickname, of common use in Tuscany, was given to kids and men “grown scrubby”. It seems that it was just the Del Buono nickname in youth due to his look.
With a prominent nose, Stenterello is a chatterer character, fearful and impulsive, but also sensible, ingenious and ready to take the defense of the weak, even though the shivers restrain him: and from this contrast arises the funny side.
He represents the popular florentine citizen, of humble origin, who, even though weighed by adversity and injustice, finds in himself the courage of smiling and joking.
The favourite technique for speaking to the audience and provoke the laugh was a quick speaking of words with similar sound.
As many other characters of the Italian Comedy of Art he became also a mask and an harlequin.
Stenterello was represented for the first time in Florence in the “Quarquonia Theater” in Via dei Cimatori, later Cinema Nazionale, now closed.
In Florence and in other cities of Tuscany there are city corners called “Quarquonia o Quarconia”, what does it mean? It cames from the fact that the old municipal ordinances were written in Latin language and started always with the words “Quare – Therefore” or “Quoniam – Since”. People didn’t know the Latin, so when a new ordinance was put up, people said “Oh, there is a new “quarquonia”!”. In Florence they were put up under the tabernacle near the Theatre of the Quarquonia in Via dei Cimatori.
Commedia dell’Arte: Stenterello
Stenterello, come molti altri personaggi della Commedia dell’Arte italiana, nasce nel ‘700, fu ideato dall'attore fiorentino Luigi Del Buono (1751-1832), Stenterello è mingherlino, come era lo stesso Del Buono. Il soprannome, di uso comune in Toscana, veniva dato a bambini e uomini "cresciuti con istento". Anzi, sembra che anche il Del Buono avesse fin da piccolo questo soprannome a causa del suo fisico stentato.
Dal naso prominente, Stenterello è un personaggio chiacchierone, pauroso ed impulsivo; ma anche saggio, ingegnoso e pronto a schierarsi dalla parte del più debole, anche se la tremarella gli mette spesso i bastoni tra le ruote: ed è in questo contrasto il fulcro della comicità.
In esso è raffigurato il popolano fiorentino, di bassa estrazione, il quale oppresso da avversità ed ingiustizie, ha in sé sempre la forza di ridere e scherzare.
La tecnica preferita con cui Stenterello parla all'immaginazione popolare, per eccitarne il riso, è il bisticcio, ovvero la vicinanza di parole differenti di significato e di suono simile: "M'inchino fino all'imo, e il primo imprimo nella mente dell'amante: si rammenti i miei tormenti non mai spenti anzi più spanti...", dandogli maggiore effetto tramite una veloce parlantina.
Come gli altri personaggi della Commedia dell’Arte è poi diventato una maschera e un burattino.
Il personaggio di Stenterello fu rappresentato a Firenze per la prima volta al Teatro alla Quarquonia, in Via dei Cimatori, poi Cinema Nazionale, ora chiuso.
A Firenze e in altre città della Toscana (Pisa, Grosseto..) esiste un punto della città chiamato “La Quarquonia” (o quarconia). Cosa sarà mai? Pare che nei secoli passati ci venissero affisse le grida e le ordinanze cittadine che, essendo scritte in latino, pomposamente cominciavano con le parole “Quare – Perciò” o “Quoniam – Poiché). Il popolo che il latino lo masticava poco o punto diceva: “Vai! C’è una “Quarquonia” nuova!”. A Firenze venivano affisse vicino al tabernacolo di Via dei Cimatori, vicino appunto al Teatro della Quarquonia. Sentite come lo descrive Giuseppe Conti nel suo libro “Firenze Vecchia” (1899).
“La Quarconia era la Pergola (altro Teatro di Firenze) dei beceri e delle ciane che vi andavano all'un'ora: e in quelle due ore dell'aspettare, a quel buio, poiché in tutto il teatro non c'eran che tre o quattro lumi a olio, Dio solo sa che cosa armeggiavano. Non sarà seguìto nulla di male, questo no; ma ogni poco si sentiva lassù "in piccionaia" un urlaccio, o trattar male qualcuno e nascer questioni provocate spesso da un manrovescio da lasciar l'impronta delle cinque dita sul viso. La maschera del teatro, con le gambe a sghembo, la lucerna tutta unta e una livrea da insudiciarsi soltanto a guardarla, accorreva qua e là per sedare il subbuglio, e far rispettare la legge: ma quando giungeva, tutto era quieto e nessuno fiatava. Qualche volta si sentiva soltanto il rumore d'un lattone sulla lucerna del rappresentante dell'ordine, che minacciava ira di Dio; e che, a sentirlo, se avesse potuto avrebbe fatta una bracciata di tutti e portati al Bargello. Se la maschera poi faceva un po' più il rogantino, e s'investiva troppo della sua posizione, quand'era in cima alla scala per tornare in platea, si sentiva arrivare un di quei pedatoni nel luogo che par proprio fatto apposta, e senza sapere chi si ringraziare si trovava in fondo alla scala tutto in un volo!
Alla Quarconia, quelle civilissime persone, usavano andare coi tegami dello stufato o dell'agnello, coi fiaschi di vino e col pane, perché così cenavano in teatro facendo l'ora dello spettacolo, e buttando gli ossi giù in platea a quegli altri signori delle panche che glieli ributtavano, con una filastrocca di titoli che dal padre e la madre andavano a ritrovare anche i parenti più lontani. Spesso volavan fiaschi vuoti su qualche testa pelata, facendo anche del male, al punto da dover chiamare il medico; e quando l'ambiente era così riscaldato, da loggia a loggia e da palco a palco, s'iniziava un cordialissimo scambio di mele, torsoli e palle di foglio che era un piacere. Si udivan pure gli annunzi di felici digestioni, con certi sospiri degni di quelle creature degli stabbioli di fuor di Porta alla Croce; e alla maschera che redarguiva quelli screanzato dicevan sul viso: - Per lei.... non è nulla, caro “sor Aringhe!”(detto non coi polmoni) e allora quel disgraziato a sbraitare e urlare finché poi non gli toccava a uscire; perché, chi gli girava la lucerna, chi gli tirava le falde e chi gli dava dietro nei ginocchi per fargli piegar le gambe, nei momenti in cui si dava importanza e si stizziva più che mai.
Quando finalmente alle otto compariva il gobbo Masoni in orchestra, e si accendevano quegli altri dieci o dodici lumi, allora era un pandemonio addirittura. Urli, fischi, applausi, tanto per far fracasso, in mezzo al quale si distingueva suscitando le più grandi risate, la nota acuta di qualcuno di quei soliti sospiri. E fosse finita lì!... Basta, non ne parliamo.
Ad un tratto si sentiva urlare: - So' Masoni ! la sòni!... e qualcuno più sfacciato lo chiamava gobbo senza tanti complimenti.
La rappresentanza non consisteva soltanto in una commedia o in una farsa. Abitualmente ci eran cinque o sei cose. Un dramma in sei o sette atti; la pantomima; la farsa, il balletto, e magari la lotta!
Infinite erano le interruzioni, le esclamazioni, le approvazioni, le ingiurie, gli improperii e le invettive ai personaggi del dramma o della commedia. Quando c'era sulla scena un re tiranno, era un continuo gridare: - Ammazzalo! ammazzalo!... - Se poi in qualche pasticcio intricatissimo dove nessuno raccapezzava nulla, avveniva che si cospirasse ai danni di qualche vittima, tentando di avvelenarla col mezzo di una bevanda, il pubblico frenetico, come se si trattasse di cosa vera, urlava: - Un lo bere, c'è i'veleno!... -
Se si dava lo spettacolo della lotta poi, era un continuo smuoversi seguendone tutte le fasi. La platea pareva un campo di grano mosso dal vento.
Al tocco dopo la mezzanotte, tutto quel becerume se ne tornava a casa, ripetendo strada facendo gli avvenimenti della serata e discutendo i delitti visti commettere, le ingiustizie subite dagl'innocenti, appassionandocisi come se si dicesse proprio sul serio".
Additional Hints
(Decrypt)
zntargvp