Il punto più prospiciente della costa Ionica tra le Città di Catania e Siracusa è un minuscolo isolotto semi-sommerso completamente eroso dalla risacca, dinanzi ad esso al termine di un promontorio di roccia bianca che scende da Monte S. Elena, si erge il Faro di Capo S. Croce più esattamente tra Punta Campolato e Punta Izzo in territorio di Augusta, una zona altamente rischiosa per i naviganti di ogni tempo quando in questo luogo si alza l’impetuoso Maestrale proveniente da Nord-Ovest.
Tra mito e legenda - In antichità la piccola baia dalle acque cristalline tra il Faro e Punta Izzo era conosciuta dai Greci con il nome di Xiphonium, “Sorgente”; posto su di una parete alta 70 metri a picco sul mare, questo splendido luogo ha una storia molto antica ed affascinante, infatti in una biografia scritta da un monaco si parla della madre dell’imperatore Costantino, la Regina Elena, e narra che nell’anno 324 essa era di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa verso Roma, quando la nave venne colta da una fortissima tempesta; quando ogni speranza sembrava vana, la Regina fece immergere nell’acqua del mare alcune reliquie della croce di Cristo che era riuscita a raccogliere durante la permanenza in Palestina, placando miracolosamente in questo modo il vento. In segno di ringraziamento per lo scampato pericolo, Elena fece erigere una croce di legno nel luogo ove la nave riuscì ad ormeggiare per riparare i danni, ed una chiesetta ad un centinaio di metri in posizione più riparata, intitolata in seguito alla canonizzazione con il nome “S. Elena”, (questa piccola costruzione andò perduta negli anni ’50). Quando Elena giunse infine nella Capitale, fece erigere la basilica di S. Croce in Gerusalemme, ove tutt’oggi sono custodite le preziose reliquie; l’unica piccola testimonianza di questo antico episodio è ancora visibile dinanzi al Faro, sulla bassa scogliera che precede l’isolotto vi è un grande masso di forma parallelepipeda, sulla cui sommità i marinai di quella nave diciassette secoli prima scavarono un foro rettangolare di circa 30 x 15 x 10 cm., che sosteneva la croce ( visibile nella foto).
La storia - Il grande Faro di Capo S. Croce venne costruito dai Borboni nel 1856, che vennero cacciati solo quattro anni dopo nel 1860 da Garibaldi che restituì la Sicilia ai siciliani: è completamente realizzato in pietra calcarea, alto 36 metri, per giungere alla sua cima si deve affrontare una stretta scalinata interna composta da 99 gradini disposti a chiocciola. Una ristrutturazione importante venne effettuata nel 1932, IX anno dell’era Fascista come ancora ricorda un fascio littorio in pietra scampato alla cancellazione del dopo guerra perché posto alla base della lanterna di fianco alla piccola porticina da cui si accede al ballatoio circolare; sempre in quell’anno venne ricavata sotto il Faro una cisterna per l’acqua da 360 metri cubi, alimentata dai tetti degli alloggi dotati di terrazzini per la captazione dell’acqua piovana. Un altro metodo per portare l’acqua alle due famiglie dei custodi, era una piccola motocisterna che nei giorni di bonaccia veniva ormeggiata dentro una caletta alle pendici del Faro. Ancora oggi, dopo mezzo secolo, il problema dell’acqua non è stato risolto in quanto tutta la zona è sprovvista di allacciamento alla rete idrica comunale e l’approvvigionamento è affidato alle autobotti del Comune di Augusta.
Nel 1943, durante il conflitto mondiale, S.Croce venne presidiato da un gruppo di militari della Regia Marina specializzati in segnalazioni, che obbligarono allo sfratto i due faristi e le relative famiglie, fino a quando il 12 Luglio dello stesso anno la zona di S. Elena (facendo attenzione a non colpire il prezioso Faro) venne sottoposta ai cannoneggiamenti dalle navi inglesi posizionate al largo: questo provocò la fuga dei soldati italiani dal presidio, ed un mese dopo quell’episodio la torre sul mare venne requisita da altri segnalatori marittimi, questa volta della Royal Navy. Nel dopoguerra riprese la normale attività dei guardiani con le relative famiglie, sino al 1979, anno in cui l’ultimo di quelli che vi abito’ (si chiamava Cuomo), dovette lasciare il suo posto dopo circa venti anni per andare in pensione con malinconia, visto che non ne fù prevista la sostituzione. Da quel giorno trascorsero sedici anni di abbandono per i locali, mentre la lanterna venne regolarmente manutenzionata dai Faristi. In proposito la figura del Guardiano del Faro è addetta al presidio del luogo, e spesso ci vive con la sua famiglia, la figura del Farista invece non prevede che questo abiti nel Faro, ma che si occupi di esso e di tutti i segnalamenti marittimi in quanto è un tecnico specializzato per la manutenzione coordinata dal responsabile dell’Ufficio segnalamenti marittimi del compartimento, chiamato “Reggente”.
La storia del Faro continua, e finalmente dopo dodici anni trascorsi nelle mani di vandali dall’inaudita violenza, dal giugno del 1995 quel che restava dei locali sottostanti la lanterna, ormai ruderi, vennero ottenuti in concessione dal Demanio marittimo per richiesta dell’I.RI.M. (Istituto Scientifico di Ricerca Marina) di Catania, che con un investimento notevole di denaro e dopo un anno di lavori diretti dalla Sovraintendenza, li ha sottratti al loro triste destino installandovi i propri laboratori gestiti dall’Università di Catania: è per questo Istituto, di cui sono dipendente, che ho la fortuna di abitare in questo posto incantevole del quale mi è stata affidata la custodia giorno e notte. Il fascino percepito da molti di un Faro in riva al mare è indiscutibile, ha ispirato artisti d’ogni genere, ed altrettanto importante è per tutta la gente di mare, persino i Comandanti delle navi transitanti per Augusta (il più grande Porto petrolchimico del Mediterraneo), nonostante abbiano sulle proprie navi strumenti elettronici altamente sofisticati per la definizione del punto nave come GPS e LORAN: dal ponte della loro nave hanno l’opportunità di confermare i dati forniti dai computer, scorgendo nella notte quella luce che regala consapevolezza perché distinguibile tra centinaia di altri fari grazie ai suoi precisi tempi che alternano lampi ed eclissi tra le tenebre.