Le miniere di Lavanchetto raccontano, mute testimoni di un mondo ormai perduto, la lunga storia dello sfruttamento dei filoni auriferi nelle valli che circondano il Monte Rosa, di cui rende testimonianza un documento risalente addirittura al 1291. Il sentiero per raggiungerle, partendo dal Ponte del Vaud, è ripido e poco frequentato, ma ben mantenuto. Tenacemente aggrappate al poco spazio disponibile su una cresta che scende ripida dal Pizzo della Caccia, in posizione sicura rispetto alle valanghe che ad ogni inverno spazzano il vallone dove si trovano gli imbocchi delle miniere, si rinvengono le baite utilizzate dai minatori come alloggio, poiché era impossibile affrontare in giornata il lungo e impervio cammino per raggiungere gli scavi da fondovalle, e i ruderi della teleferica per il trasporto del materiale estratto. Poco a monte, sorge la suggestiva e curata cappellina in ricordo di tutti coloro che lavorarono, e in alcuni casi persero la vita, nelle miniere della valle Anzasca; su un lato della cappellina è affissa l’impressionante planimetria delle gallerie del Lavanchetto, il cui sfruttamento risale almeno al XVII secolo. La cache è invece posizionata all’imbocco di una delle gallerie, ancora ben osservabile benché la volta sia ormai crollata. Ogni anno, a luglio, presso la cappella del Lavanchetto è organizzata un’intima ma molto sentita commemorazione da parte dell’associazione Figli della Miniera, che si occupa di mantenere viva la memoria di una pagina così lunga e importante nella storia della valle.